LA SINDROME FRONTALE: CLINICA E TRATTAMENTO

Ad alcuni di voi sarà capitato di sentire parlare di “Sindrome Frontale o Sindrome Disesecutiva”, scopriamo insieme di cosa si tratta.

  In seguito ad alcune condizioni patologiche, quali gravi traumatismi cranici, stroke (sia di tipo ischemico che emorragico) neoplasie, sia in sede frontale che in altre sedi o patologie degenerative come la Demenza Fronto Temporale, può insorgere la cosidetta sindrome frontale o disesecutiva, sconosciuta e di difficile gestione, poiché scevra di terapia farmacologica. La sindrome frontale è un quadro clinico caratterizzato da deficit cognitivi e/o disturbi comportamentali, emotivi e motori.

La corteccia prefrontale è sede delle funzioni esecutive. Con questo termine s’intendono i processi cognitivi superiori che supervisionano, dirigono e controllano le funzioni di base (percezione, controllo motorio, linguaggio, ecc.) nella guida del comportamento diretto ad uno scopo.

Lesioni della corteccia frontale comportano quindi deficit delle funzioni esecutive, in particolare problemi:

  • nella pianificazione e problem solving: la persona ha difficoltà a pianificare ed eseguire una sequenza di azioni per arrivare ad un obiettivo, ma anche nella pianificazione di sequenze di movimenti; 
  • nella flessibilità cognitiva: ha un comportamento rigido, non flessibile e mette in atto delle perseverazioni, dando sempre la stessa risposta o usando la stessa strategia anche quando si rivela inadeguata;
  • nella memoria di lavoro: i disturbi mnesici che possono inquadrarsi nella sindrome amnesica frontale sono caratterizzati dall’incapacità di ritenere nuove informazioni, maggiore distraibilità e confabulazioni, difficoltà nell’utilizzare strategie di memorizzazione, incapacità nel saper utilizzare i nuovi dati acquisiti, incapacità di memorizzare volontariamente; 
  • nell’inibizione di comportamenti automatici non congrui alla situazione: è il caso della “sindrome ambientale” o “da dipendenza d’uso”: posta ad esempio di fronte ad oggetti che è abituata ad utilizzare, al persona li usa senza alcun invito e senza alcuna ragione (ad esempio, un paziente che di fronte ad una bottiglia d’acqua posta sulla scrivania dell’esaminatore, la prende e beve); 
  • nella presa di decisioni: s’intende la difficoltà di decidere in modo vantaggioso per se stessi e di rispettare le norme sociali (Bechara et al. 2000; Rolls, 2000). Pazienti con questo disturbo sono più propensi a commettere scelte rischiose e a sviluppare ad esempio, una dipendenza dal gioco d’azzardo; 
  • nella regolazione delle emozioni e del comportamento: possiamo avere un paziente che mostra un quadro di sintomi di Tipo Disinibito caratterizzato da euforia, irrequietezza, disinibizione sessuale, comportamenti sociali inappropriati, scarso interesse verso gli altri, comportamento disinibito, con scarso controllo degli impulsi, facile irritabilità ed aggressività, euforia, labilità emozionale; oppure un quadro sintomatologico di Tipo Apatico con personalità “pseudo-depressa”, quindi con modificazioni caratterizzate da indifferenza, apatia, diminuzione della spontaneità, ridotto interesse sessuale, riduzione nella espressione delle emozioni, diminuita produttività verbale (incluso il mutismo), diminuito comportamento motorio; 
  • scarsa autocritica e capacità di giudizio: la persona presenta un deficit nel giudicare la realtà, specie quando la situazione sia nuova o complessa e un’assenza di atteggiamento critico verso le azioni svolte. Mostra inoltre difficoltà nel correggere i propri errori e incapacità di modificare o programmare nuovi comportamenti.

TRATTAMENTO

Come già anticipato la gestione di questo tipo di disturbo è molto difficile, non solo a causa di una mancata terapia farmacologica mirata, ma anche perché la riabilitazione delle funzioni esecutive è estremamente complicata da un disturbo che è parte costitutiva della sindrome, ovvero la mancanza di consapevolezza del proprio deficit. La mancanza di consapevolezza riduce la motivazione del paziente e la sua compliance al trattamento, interferendo con il trattamento riabilitativo.

Inoltre La mancanza di flessibilità tipica del paziente frontale rende difficile per questi pazienti applicare a contesti nuovi quanto appreso durante la riabilitazione Ciò ha impatto su un aspetto cruciale dell’intervento riabilitativo, ovvero la generalizzazione.

Tuttavia ci sono strategie che possono essere applicate in maniera tale da coadiuvare e semplificare la gestione di questi pazienti.

Nella riabilitazione delle sindromi frontali troviamo le tecniche di restituzione e compensazione.

La restituzione consiste nel  ripristinare, almeno in parte, la funzione danneggiata. Nel caso delle funzioni frontali, evidenze (Levine et al 2008) suggeriscono di intervenire per la restituzione a distanza di tempo dall’evento patologico, quando i processi attenzionali di base sono recuperati ma il recupero spontaneo è ancora in corso Interventi troppo precoci o tardivi risultano meno efficaci.

Con le tecniche di compensazione invece si cerca di intervenire sulle abilità risparmiate o sull’ambiente per compensare il deficit Il paziente potrà imparare ad usare « protesi cognitive », come agende o altri dispositivi elettronici, oppure giovarsi di un ambiente strutturato per svolgere operazioni complesse con un impegno ridotto delle risorse esecutivo strategiche.

Tecniche di stimolazione cognitiva e di terapia occupazionale possono risultare molto utili poiché consentono l’esercizio mentale e il recupero delle funzioni. Inoltre il Giardino Alzheimer, il percorso sensoriale, la snoezelen room e la musicoterapia si rivelano ottimi alleati per ridurre i disturbi del comportamento.

Infine, pur non essendoci un trattamento farmacologico specifico si può agire sul sintomo, e così possono essere usati diversi farmaci per aiutare a superare problemi come ansia, possibile paranoia e ossessività, apatia o depressione.

Dott.ssa Claudia Morleo

Riferimenti Bibliografici

  • Goldberg, E. (2009). Il cervello esecutivo: lobi frontali e mente civilizzata. recensione.
  • Jarne, A. e Aliaga, A. (2010). Manuale di neuropsicologia forense: dalla clinica ai tribunali … Modifica. Herder.
  • Kandel, E.R .; Schwartz, J.H; Jessell, T.M. (2001). Principi di neuroscienza. Madrird: MacGrawHill
  • Neuropsicologia dei lobi frontali. Sindromi disesecutive e disturbi del comportamento. Seconda edizione. Grossi D., Trojano L. Il Mulino.
  • Lineamenti di Neuropsicologia Clinica. Grossi, Trojano. Carocci Editore

 

L’ALZHEIMER AI TEMPI DEL CORONAVIRUS – Quell’isolamento “inconsapevole”

Coronavirus, questa parola che ormai riecheggia nelle nostre case, nelle nostre menti, nella maggior parte delle nostre conversazioni. Coronavirus, quel “mostro” che ha messo fine a migliaia di vite, minacciato la nostra economia, che ci costringe a casa, isolati, in compagnia dell’essere che più temiamo: noi stessi!

Per ognuno di noi il coronavirus ha significato o significherà qualcosa, tutti ne usciremo in qualche modo compromessi, mutati, evoluti. Ma che significato assume il coronavirus per chi, ormai da tempo, legge la realtà in maniera differente rispetto a noi? Per coloro che non distinguono le stagioni, le giornate e spesso neanche il volto dei familiari? Per coloro il cui contatto con la realtà è la routine quotidiana? Cosa accade se questa routine viene ad essere compromessa?

Pensiamo ai pazienti abituati a frequentare centri diurni, o ricevere terapia domiciliare a casa. Certamente dover far a meno di questi servizi per loro è molto impattante: meno stimoli cognitivi, sociali, meno attività “stancanti” durante la giornata che  li rendono più nervosi o irritabili la sera.

Pensiamo ai pazienti, il cui unico ancoraggio con un mondo perduto e sfumato è rappresentato dalla visita giornaliera di quel figlio, di quel nipote, di cui non ricordano il nome, magari non ricordavano neanche di averlo un figlio, ma conservano fortemente il ricordo emotivo: quella voce, quel profumo che fa sussultare il cuore, che accende un emozione sintomo di certezze in un turbinio di confusione.

Pensiamo a coloro che soffrono di disturbi del comportamento, divorati da un’ agitazione interna che può essere placata solo dal “wandering”, quel vagare senza meta per le strade del proprio quartiere, sottobraccio alla badante, alla figlia, al marito.

Pensiamo a loro, privati ancor di più nelle loro privazioni. Noi tutti, sperimentando la quarantena, dobbiamo affrontare qualcosa di nuovo e soprattutto non del tutto piacevole, ma lo affrontiamo con uno strumento che i nostri cari pazienti non hanno: la consapevolezza!

Loro non sanno perché non possono più uscire, perché non possono andare al diurno, perché  “Ettore” il fisioterapista non viene più con i suoi strumenti e il suo buon umore, perché “Roberta” la neuropsicologa non mi porta più le sue schede e il suo bel sorriso, o peggio, perché mio nipote, mio figlio, mia sorella … non vengono più a trovarmi.

Di certo, come in ogni ambito dobbiamo aspettare con cautela e pazienza che tutto questo passi … ma nel frattempo possiamo fare qualcosa.

Ecco un elenco di Sei attività per caregiver e malati da svolgere durante il giorno suggerite dalla Dottoressa Bruni, stimatissima collega responsabile del centro regionale di Neurogenetica dell’ospedale Giovanni Paolo II di Lamezia Terme in Calabria.

  1. Mantenere i ritmi del risveglio, colazione, toilette, vestirsi, è importantissimo. Cerchiamo di non abbandonarci al pigiama party considerando che “tanto non dobbiamo uscire e non viene nessuno a trovarci”.
  2. Possiamo sempre telefonare e video chiamare amici e parenti lontani…
  3. Piccoli esercizi di ginnastica da fare insieme durante la giornata, brevi passeggiate intorno al palazzo o anche nelle stanze di casa, ci aiutano a rilassarci.
  4. Tirare fuori tutte le vecchie foto, raccontare e farsi raccontare.
  5. Cucinare insieme, fare piccole cose insieme e rifarle all’infinito come la tela di Penelope. E poi disegnare, pregare, cantare e ascoltare musica, ridere… insieme
  6. Trovare un obiettivo della giornata salvo cambiarlo in corso d’opera sorridendo con leggerezza, con la leggerezza ritrovata e la riscoperta di affetti sopiti …

Nelle situazioni di maggiore difficoltà si ha la possibilità di riscoprirsi e tirare fuori le migliori risorse, vi auguro di trovare le vostre!

Nell’ attesa di potermi sedere nuovamente accanto a voi ad ascoltare i  racconti, la vostra storia, e come avete affrontato questo difficile momento, vi abbraccio virtualmente sperando che tutto vada per il meglio.

Claudia Morleo

 

Alzheimer: Ecco Come affrontare la Malattia! Domande/Risposte

Gestire un paziente con malattia di Alzheimer è un compito arduo ed estenuante dal punto di vista fisico ed emotivo, ma il problema principale è causato sopratutto dalla disinformazione.

Spesso leggo negli occhi dei figli, mariti, mogli la disperazione e il senso di impotenza: il vero problema non è la malattia, ma il non sapere come affrontarla.
Scopo di questo mio articolo e fornire un aiuto concreto. Ho cercato di mettere insieme le domande che più frequentemente mi vengono poste e di dare una risposta

DIMENTICA, E’ CONFUSO, SMEMORATO… VUOLE ANDARE DA SUA MADRE

Questa malattia erode i ricordi in senso retrogrado, prima quelli a breve termine e progressivamente i ricordi di anni, fino a lasciare ben poco materiale. Il paziente si ritrova in un tempo mentale che non corrisponde a quello del calendario. Inutile svenarvi se non ricorda la data, o cosa ha mangiato a pranzo: a meno che non sia il 15 gennaio e lui sostenendo che ci troviamo in piena estate pretende di uscire a maniche corte, lasciamolo nelle sue convinzioni! Vi ripete sempre la stessa domanda? Un po’ di pazienza e rispondete ogni volta. Vuole andare dalla mamma morta ormai anni fa? Distraiamolo! Evitiamo di dirgli che il genitore in questione è morto perchè lui non lo ricorda e potremmo sconvolgerlo. Magari portiamolo in giro in macchina per poi tornare a casa e sostenere di essere arrivati alla meta da lui richiesta, questo sicuramente lo aiuterà.

NON MI RICONOSCE! SONO SUA FIGLIA, MA CREDE CHE IO SIA SUA SORELLA       

Questo è dovuto a quella che in Neuropsicologia è definiamo Prosopoagnosia, ovvero la difficoltà a riconoscere i volti. Il paziente riconosce il volto come familiare, ma non lo colloca correttamente. Dunque il tempo mentale di 20 anni fa, più la difficoltà a riconoscere il nome a cui appartiene il volto, fa si che il familiare riconosca la figlia come mamma. Su questo in genere non c’è niente da fare, si può solo assecondare quanto dice, rassegnandosi al fatto che nel paziente si è creato un altro mondo al quale tu non hai accesso. L’unico contatto possibile è essere la persona che crede tu sia, per cui se ti chiama con il nome di tua madre o di sua sorella, allora devi diventare quella persona. Inutile intestardirsi in qualsiasi spiegazione razionale, finiresti per sprecare le tue energie e non farebbe alcuna differenza…

Benvenuto nel mio Blog dedicato alla Neuropsicologia

Claudia BlogBenvenuto nel blog claudiamorleo.it, il mio blog dedicato alla Neuropsicologia! In questo blog potrai ricevere informazioni relative alla Neuropsicologia e alle Neuroscienze, inoltre avrai l’occasione di ricevere un sacco di notizie e consigli su questo argomento. Tratterò casi reali, utilizzando anche delle importanti testimonianze, per fornire informazioni pratiche su come affrontare e gestire diversi problemi a livello neuropsicologico.

Da più di cinque anni mi occupo di clinica e ricerca in ambito Neuropsicologico, in particolare di malattie neurodegenerative. Negli anni ho visitato centinaia di pazienti e famiglie con problemi legati a queste patologie ed uno dei più grossi ostacoli, su cui mi imbatto molto molto spesso, è la scarsa informazione e la paura di non conoscere l’evolversi della propria situazione o di quella dei propri cari.

Fortunatamente viviamo in un momento roseo per quanto riguarda le Neuroscienze. Ogni anno migliaia di nuovi studi portano a decine di risultati. Molto spesso bisogna essere solo informati e quelle che appaiono come barriere e problemi insormontabili, hanno soluzioni già da diverso tempo.
Tramite questo blog voglio rispondere alle domande più comuni e fornire un aiuto concreto ai malati ed ai loro familiari…