LA SINDROME FRONTALE: CLINICA E TRATTAMENTO

Ad alcuni di voi sarà capitato di sentire parlare di “Sindrome Frontale o Sindrome Disesecutiva”, scopriamo insieme di cosa si tratta.

  In seguito ad alcune condizioni patologiche, quali gravi traumatismi cranici, stroke (sia di tipo ischemico che emorragico) neoplasie, sia in sede frontale che in altre sedi o patologie degenerative come la Demenza Fronto Temporale, può insorgere la cosidetta sindrome frontale o disesecutiva, sconosciuta e di difficile gestione, poiché scevra di terapia farmacologica. La sindrome frontale è un quadro clinico caratterizzato da deficit cognitivi e/o disturbi comportamentali, emotivi e motori.

La corteccia prefrontale è sede delle funzioni esecutive. Con questo termine s’intendono i processi cognitivi superiori che supervisionano, dirigono e controllano le funzioni di base (percezione, controllo motorio, linguaggio, ecc.) nella guida del comportamento diretto ad uno scopo.

Lesioni della corteccia frontale comportano quindi deficit delle funzioni esecutive, in particolare problemi:

  • nella pianificazione e problem solving: la persona ha difficoltà a pianificare ed eseguire una sequenza di azioni per arrivare ad un obiettivo, ma anche nella pianificazione di sequenze di movimenti; 
  • nella flessibilità cognitiva: ha un comportamento rigido, non flessibile e mette in atto delle perseverazioni, dando sempre la stessa risposta o usando la stessa strategia anche quando si rivela inadeguata;
  • nella memoria di lavoro: i disturbi mnesici che possono inquadrarsi nella sindrome amnesica frontale sono caratterizzati dall’incapacità di ritenere nuove informazioni, maggiore distraibilità e confabulazioni, difficoltà nell’utilizzare strategie di memorizzazione, incapacità nel saper utilizzare i nuovi dati acquisiti, incapacità di memorizzare volontariamente; 
  • nell’inibizione di comportamenti automatici non congrui alla situazione: è il caso della “sindrome ambientale” o “da dipendenza d’uso”: posta ad esempio di fronte ad oggetti che è abituata ad utilizzare, al persona li usa senza alcun invito e senza alcuna ragione (ad esempio, un paziente che di fronte ad una bottiglia d’acqua posta sulla scrivania dell’esaminatore, la prende e beve); 
  • nella presa di decisioni: s’intende la difficoltà di decidere in modo vantaggioso per se stessi e di rispettare le norme sociali (Bechara et al. 2000; Rolls, 2000). Pazienti con questo disturbo sono più propensi a commettere scelte rischiose e a sviluppare ad esempio, una dipendenza dal gioco d’azzardo; 
  • nella regolazione delle emozioni e del comportamento: possiamo avere un paziente che mostra un quadro di sintomi di Tipo Disinibito caratterizzato da euforia, irrequietezza, disinibizione sessuale, comportamenti sociali inappropriati, scarso interesse verso gli altri, comportamento disinibito, con scarso controllo degli impulsi, facile irritabilità ed aggressività, euforia, labilità emozionale; oppure un quadro sintomatologico di Tipo Apatico con personalità “pseudo-depressa”, quindi con modificazioni caratterizzate da indifferenza, apatia, diminuzione della spontaneità, ridotto interesse sessuale, riduzione nella espressione delle emozioni, diminuita produttività verbale (incluso il mutismo), diminuito comportamento motorio; 
  • scarsa autocritica e capacità di giudizio: la persona presenta un deficit nel giudicare la realtà, specie quando la situazione sia nuova o complessa e un’assenza di atteggiamento critico verso le azioni svolte. Mostra inoltre difficoltà nel correggere i propri errori e incapacità di modificare o programmare nuovi comportamenti.

TRATTAMENTO

Come già anticipato la gestione di questo tipo di disturbo è molto difficile, non solo a causa di una mancata terapia farmacologica mirata, ma anche perché la riabilitazione delle funzioni esecutive è estremamente complicata da un disturbo che è parte costitutiva della sindrome, ovvero la mancanza di consapevolezza del proprio deficit. La mancanza di consapevolezza riduce la motivazione del paziente e la sua compliance al trattamento, interferendo con il trattamento riabilitativo.

Inoltre La mancanza di flessibilità tipica del paziente frontale rende difficile per questi pazienti applicare a contesti nuovi quanto appreso durante la riabilitazione Ciò ha impatto su un aspetto cruciale dell’intervento riabilitativo, ovvero la generalizzazione.

Tuttavia ci sono strategie che possono essere applicate in maniera tale da coadiuvare e semplificare la gestione di questi pazienti.

Nella riabilitazione delle sindromi frontali troviamo le tecniche di restituzione e compensazione.

La restituzione consiste nel  ripristinare, almeno in parte, la funzione danneggiata. Nel caso delle funzioni frontali, evidenze (Levine et al 2008) suggeriscono di intervenire per la restituzione a distanza di tempo dall’evento patologico, quando i processi attenzionali di base sono recuperati ma il recupero spontaneo è ancora in corso Interventi troppo precoci o tardivi risultano meno efficaci.

Con le tecniche di compensazione invece si cerca di intervenire sulle abilità risparmiate o sull’ambiente per compensare il deficit Il paziente potrà imparare ad usare « protesi cognitive », come agende o altri dispositivi elettronici, oppure giovarsi di un ambiente strutturato per svolgere operazioni complesse con un impegno ridotto delle risorse esecutivo strategiche.

Tecniche di stimolazione cognitiva e di terapia occupazionale possono risultare molto utili poiché consentono l’esercizio mentale e il recupero delle funzioni. Inoltre il Giardino Alzheimer, il percorso sensoriale, la snoezelen room e la musicoterapia si rivelano ottimi alleati per ridurre i disturbi del comportamento.

Infine, pur non essendoci un trattamento farmacologico specifico si può agire sul sintomo, e così possono essere usati diversi farmaci per aiutare a superare problemi come ansia, possibile paranoia e ossessività, apatia o depressione.

Dott.ssa Claudia Morleo

Riferimenti Bibliografici

  • Goldberg, E. (2009). Il cervello esecutivo: lobi frontali e mente civilizzata. recensione.
  • Jarne, A. e Aliaga, A. (2010). Manuale di neuropsicologia forense: dalla clinica ai tribunali … Modifica. Herder.
  • Kandel, E.R .; Schwartz, J.H; Jessell, T.M. (2001). Principi di neuroscienza. Madrird: MacGrawHill
  • Neuropsicologia dei lobi frontali. Sindromi disesecutive e disturbi del comportamento. Seconda edizione. Grossi D., Trojano L. Il Mulino.
  • Lineamenti di Neuropsicologia Clinica. Grossi, Trojano. Carocci Editore

 

L’ALZHEIMER AI TEMPI DEL CORONAVIRUS – Quell’isolamento “inconsapevole”

Coronavirus, questa parola che ormai riecheggia nelle nostre case, nelle nostre menti, nella maggior parte delle nostre conversazioni. Coronavirus, quel “mostro” che ha messo fine a migliaia di vite, minacciato la nostra economia, che ci costringe a casa, isolati, in compagnia dell’essere che più temiamo: noi stessi!

Per ognuno di noi il coronavirus ha significato o significherà qualcosa, tutti ne usciremo in qualche modo compromessi, mutati, evoluti. Ma che significato assume il coronavirus per chi, ormai da tempo, legge la realtà in maniera differente rispetto a noi? Per coloro che non distinguono le stagioni, le giornate e spesso neanche il volto dei familiari? Per coloro il cui contatto con la realtà è la routine quotidiana? Cosa accade se questa routine viene ad essere compromessa?

Pensiamo ai pazienti abituati a frequentare centri diurni, o ricevere terapia domiciliare a casa. Certamente dover far a meno di questi servizi per loro è molto impattante: meno stimoli cognitivi, sociali, meno attività “stancanti” durante la giornata che  li rendono più nervosi o irritabili la sera.

Pensiamo ai pazienti, il cui unico ancoraggio con un mondo perduto e sfumato è rappresentato dalla visita giornaliera di quel figlio, di quel nipote, di cui non ricordano il nome, magari non ricordavano neanche di averlo un figlio, ma conservano fortemente il ricordo emotivo: quella voce, quel profumo che fa sussultare il cuore, che accende un emozione sintomo di certezze in un turbinio di confusione.

Pensiamo a coloro che soffrono di disturbi del comportamento, divorati da un’ agitazione interna che può essere placata solo dal “wandering”, quel vagare senza meta per le strade del proprio quartiere, sottobraccio alla badante, alla figlia, al marito.

Pensiamo a loro, privati ancor di più nelle loro privazioni. Noi tutti, sperimentando la quarantena, dobbiamo affrontare qualcosa di nuovo e soprattutto non del tutto piacevole, ma lo affrontiamo con uno strumento che i nostri cari pazienti non hanno: la consapevolezza!

Loro non sanno perché non possono più uscire, perché non possono andare al diurno, perché  “Ettore” il fisioterapista non viene più con i suoi strumenti e il suo buon umore, perché “Roberta” la neuropsicologa non mi porta più le sue schede e il suo bel sorriso, o peggio, perché mio nipote, mio figlio, mia sorella … non vengono più a trovarmi.

Di certo, come in ogni ambito dobbiamo aspettare con cautela e pazienza che tutto questo passi … ma nel frattempo possiamo fare qualcosa.

Ecco un elenco di Sei attività per caregiver e malati da svolgere durante il giorno suggerite dalla Dottoressa Bruni, stimatissima collega responsabile del centro regionale di Neurogenetica dell’ospedale Giovanni Paolo II di Lamezia Terme in Calabria.

  1. Mantenere i ritmi del risveglio, colazione, toilette, vestirsi, è importantissimo. Cerchiamo di non abbandonarci al pigiama party considerando che “tanto non dobbiamo uscire e non viene nessuno a trovarci”.
  2. Possiamo sempre telefonare e video chiamare amici e parenti lontani…
  3. Piccoli esercizi di ginnastica da fare insieme durante la giornata, brevi passeggiate intorno al palazzo o anche nelle stanze di casa, ci aiutano a rilassarci.
  4. Tirare fuori tutte le vecchie foto, raccontare e farsi raccontare.
  5. Cucinare insieme, fare piccole cose insieme e rifarle all’infinito come la tela di Penelope. E poi disegnare, pregare, cantare e ascoltare musica, ridere… insieme
  6. Trovare un obiettivo della giornata salvo cambiarlo in corso d’opera sorridendo con leggerezza, con la leggerezza ritrovata e la riscoperta di affetti sopiti …

Nelle situazioni di maggiore difficoltà si ha la possibilità di riscoprirsi e tirare fuori le migliori risorse, vi auguro di trovare le vostre!

Nell’ attesa di potermi sedere nuovamente accanto a voi ad ascoltare i  racconti, la vostra storia, e come avete affrontato questo difficile momento, vi abbraccio virtualmente sperando che tutto vada per il meglio.

Claudia Morleo

 

NATALE E DEMENZA: ALCUNI CONSIGLI PER AFFRONTARE AL MEGLIO LE FESTIVITA’

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Natale, ormai alle porte, è la festa più attesa da grandi e piccini, tuttavia,  una demenza spesso impedisce alle persone di godere e partecipare alle tradizioni di famiglia come vorrebbero. Anche se in modo diverso, queste difficoltà fanno soffrire non solo i familiari ma anche le persone che si ammalano. 

Quando si convive con una  una qualsiasi altra forma di demenza , le feste e le celebrazioni possono essere difficili sopratutto per il carico emotivo di cui si fanno portavoce. Il Natale ci porta alla condivisione delle tradizioni e dell’ affetto familiare, ma molto spesso è anche un periodo triste in quanto  si fa sentire il dolore della perdita di tutto ciò che la malattia ha cambiato o di un nostro caro che non è più con noi a festeggiare.

Cosa si può fare per rendere questa esperienza positiva per tutti? ecco alcuni pratici consigli da seguire:

  • Se il paziente si trova nelle prime fasi di malattia probabilmente avrà difficoltà a seguire un discorso, sopratutto nella confusione di tanta gente, abbiate pazienza, parlate in modo chiaro, ripetendo più e più volte un concetto, se richiesto e rispondendo instancabilmente alle domanda che vi porrà tutte le volte che ve le porrà: istruite a tutto ciò i parenti che verranno a trovarvi e non hanno dimestichezza con la malattia.

 

  • In linea generale sarebbe meglio evitare di andare a casa di altra gente, sopratutto luoghi che il paziente non frequenta o parenti che non vede molto spesso: potrebbe essere fonte di grande disagio in quanto avrà difficoltà a spostarsi in un ambiente sconosciuto e, immancabilmente dopo un pò vi chiederà di andar via.

 

  • Preparatevi al Natale facendo insieme l’albero, preparando dolcetti e decorazioni, vedendo foto, ascoltando canzoncine: oltre a prepararlo alla festività, questo sarà un ottimo allenamento per la mente e la memoria. Attenti alle decorazioni: luci troppo forti o intermittenti possono creare confusione.

 

  • Adattatevi alla malattia ridimensionando le vostre abitudini: se siete abituati ad invitare a casa tanta gente, forse è il caso che per il bene del vostro caro cambiate questa usanza, poca gente, conosciuta. Ricordatevi inoltre della “sundown syndrome” (v. articolo sulla gestione), tale per cui, a causa del deficit nelle afferenze sensoriali, all’imbrunire il paziente inizia a mostrare agitazione: in questo caso se avete l’ abitudine di fare la cena, forse è meglio sostituirla con il pranzo, e, se ciò non fosse possibile ricordatevi di illuminare per bene la stanza.

 

  • “Addestrate” adeguatamente gli ospiti: da un anno all’altro molte cose nel vostro caro potrebbero essere cambiate e questo va spiegato. è bene evitare che gli ospiti sommergano il paziente di domande o frasi del tipo “ti ricordi di me?” “chi sono?”.

 

  • Nei giorni di festa si sa, le giornate sono impostate in maniera diversa: cercate di cambiare il meno possibile la routine giornaliera per non creare disagio nel vostro caro.

 

  • Abbiate sempre come asso nella manica attività piacevoli, semplici e conosciute dal paziente da poterli far fare: piegare fazzoletti, pelare patate … o vedere il suo film preferito.

 

  • Attenzione ai regali: sceglieteli con cura, in base ai gusti e alla patologia, regali che possa comprendere; ma sopratutto ricordate che il regalo più grande che possiate fare ad un paziente con demenza e la vostra presenza.

 

  • Se il vostro caro trascorre le festività in una residenza, fate comunque sentire la vostra presenza e ricordatevi di istruire adeguatamente il personale circa le sue preferenze e gusti.

 

  • Sopratutto, questo Natale fate un regalo a voi stessi: gestire un familiare con demenza è un’esperienza forte che a volte  priva di ogni forza: non abbiate timore di condividere la vostra esperienza, il vostro vissuto, le paure, i dolori e sopratutto chiedete aiuto e sostegno.

Auguri di buone feste!

                                                                     Claudia Morleo

 

EMOZIONI E STRATEGIE DI REGOLAZIONE

                                                                                                                           

Quante volte siamo stati sopraffatti dalle emozioni? ci siamo sentiti tristi, arrabbiati, sorpresi … e quanto bravi siamo stati a riconoscerle o gestirle? Chi di noi non si è sentito almeno una volta nella vita in preda ad un qualcosa che nasceva dal profondo, impedendogli di essere razionale, per quanto consapevole, ma incapace di opporsi? Quante volte avremmo voluto strappare via quella emozione che serpeggiava dentro di noi? Quella emozione che ci ha chiuso lo stomaco e aperto gli occhi, costringendoci a notti insonni, quella emozione che ha colorato di nero le nostre giornate e la visione del futuro. Di contro sarà anche capitato di provare emozioni che ci hanno fatto toccare il cielo con un dito facendoci sentire invincibili. Le Emozioni! C’è qualcosa di più forte? Ma perché le emozioni hanno tutto questo potere? E, la domanda la cui risposta rappresenta la chiave di volta per una vita serena, è possibile controllarle? 

Un concetto fondamentale è che la vita a volte ci presenta conti salati, colpi pesanti ed inaspettati: inutile infuriarsi e prendersela con chi ci ha fatto del male, continuare a chiederci dove abbiamo sbagliato, o perché accadono certe cose. Inutile disperarsi perché ci sentiamo tristi, demotivati, arrabbiati: è normale! Se abbiamo perso il lavoro, se la nostra relazione è finita, se è venuta a mancare una persona cara, è normale provare emozioni spiacevoli ma … come le consideriamo? Che idee abbiamo di esse? Capire quale è la nostra teoria sulle emozioni ci permetterà una migliore gestione.

Il modello dell’ Emotional Schema Therapy  si interessa alla valutazione delle emozioni e delle strategie usate per gestirle: esso postula che queste ultime costituiscano “l’oggetto” della cognizione, ovvero possano essere considerati dei contenuti che la persona valuta, controlla o utilizza. Ed è qui il cuore del discorso: noi possiamo considerare le emozioni non un’entità sconosciuta ed incontrollabile ma l’oggetto delle nostre valutazioni e si, del nostro controllo. Tale modello, elaborato da dr. Leahy, prevede l’esistenza di diversi “schemi”. Provate a cercare il vostro:

  • Durata: “sono triste, quello che mi è successo è terribile, non potrò mai superarlo e non sarò mai più felice”.
    se ti capita di pensare in questa maniera hai attivato lo schema della durata: i soggetti convinti della permanenza di un’emozione non le considerano temporanee o situazionali, sono convinti che dureranno a lungo portando ad una sofferenza incessante. Ma quanto è razionale questo pensiero? Vi pongo una semplice domanda: pensate al vostro passato, avete mai provato un’emozione negativa o positiva che non se ne è mai più andata? Dubito! Le emozioni non durano per sempre e sapere che un’emozione spiacevole se ne andrà la rende più tollerabile, Il bisogno di controllarla apparirà meno urgente, la percezione e il senso di disperazione decresceranno.

 

  • Comprensibilità: “ci sono delle cose in me che non capisco” “non riesco a dare un senso alle mie emozioni”.
    Se avete questo pensiero il vostro schema è probabilmente quello della comprensibilità: la difficoltà nel dar un senso alle proprie emozioni genera confusione in merito alle proprie esperienze. In questo caso anziché lasciarvi semplicemente sommergere dalle emozioni potete cercare di identificare le situazioni che le scatenano e i pensieri che le accompagnano in maniera tale da darvi un senso. Non possiamo modificare l’emozione ma possiamo intervenire sui pensieri che le generano.

 

  • Controllo: “sono preoccupato di non riuscire a controllare le mie emozioni”. 
    In questo caso il vostro schema è quello del controllo, il che può provocare ansia molto intensa implicando la necessità di fare qualcosa. A questo punto, pensate all’ultima volta che avete provato un’emozione intensa, magari quando avete preso l’aereo e l’ansia sembrava dovervi far scoppiare il cuore! Che avete fatto? Siete schizzati via dal sedile e vi siete precipitati giù? Non credo! L’ansia c’era, vi avrà fatto compagnia durante il viaggio ma poi siete arrivati sani e salvi alla destinazione godendovi il soggiorno. In realtà non si perde mai il controllo, ma è solo una percezione. Inoltre ricordando le parole di un “grande saggio “ : “le cose più belle nella mia vita sono accadute quando ho perso il controllo …”. Dunque, abbandonate il bisogno di tenere tutto sotto controllo, di organizzare, prevedere e gestire: la vita è imprevedibile, non sempre le cose vanno come avremmo voluto o come avevamo previsto! Concedetevi la possibilità di scoprire e sperimentare, perché magari proprio dalle cose più impreviste possono nascere le esperienze più belle! Ma se siete concentrati a guardarvi indietro, a quello che non avete potuto controllare, o avanti a quello che non andrà come avreste voluto rischiate di perdervi ciò che di meraviglioso vi sta accadendo sotto il naso.

  • Consenso: “gli altri non provano ciò che provo io” “ sono molto più sensibile di altri”.
    Questi pensieri fanno riferimento allo schema del consenso: alcune persone pensano di essere le uniche a provare determinate emozioni finendo per sentirsi anomale o difettose. Normalizzare è una componente importante: guardatevi intorno, credete che su 7,5 miliardi di persone siete davvero le uniche a provare certe emozioni? Certo ognuno è speciale ed unico ma … non così unico!

 

  • Vergogna e senso di colpa: “mi vergogno di quello che provo”. “non dovrei provare questa emozione”.
    Chi sperimenta lo schema della vergogna si sente in colpa o si vergogna, può criticare se stesso per le proprie emozioni, nascondendole o sentendosi ansioso o triste per esse. In questo caso una strategia fondamentale è quella dell’accettazione. L’accettazione è un prendere atto; l’accettazione ideale è priva di giudizio, di controllo o paura, segna il punto di partenza da cui iniziare, è una sorta di permesso … un “lascia che sia”. Le emozioni sono il “dato” che non può essere schiacciato, giudicato o soppresso, sono un esperienza che “semplicemente è”. Analogamente alla fame, alla sete, al dolore o al piacere un’emozione può essere vista come “un’ esperienza” e non un segno di degrado morale, debolezza personale o perdita di controllo.

 

  • Visione semplicistica: “non è possibile provare nello stesso tempo due emozioni diverse e opposte”.
    Chi ha lo schema della visione semplicistica ha difficoltà a tollerare emozioni miste. Un pensiero più diversificato permette di coordinare emozioni apparentemente conflittuali. Ricordatevi che, anche se in un periodo particolare della vostra vita l’emozione di base provata è la tristezza, poiché avete vissuto un esperienza negativa, è comunque possibile sperimentare, in alcuni momenti, altre emozioni. Potete essere tristi perché la vostra relazione è finita o perché avete perso il lavoro ma ciò non toglie che un giorno per qualche ora qualcuno o qualcosa possa farvi sperimentare una nuova esperienza, una nuova situazione e su quella tristezza di fondo si possa posare un attimo di gioia e felicità.

 

  • Biasimo altrui: “se sono in questa condizione, se mi sento cosi è tutta colpa sua”.
    La tendenza a dare la colpa agli altri quando provano emozioni negative fa parte dello schema del biasimo altrui. Questo è uno stile di coping disfunzionale: invece sarebbe più opportuno prendersi la responsabilità del proprio stato emozionale. Ricordatevi che ognuno si comporta come meglio crede, secondo il proprio essere, la propria educazione e moralità; certo, possiamo essere feriti dai comportamenti altrui, possiamo essere vittime dell’egoismo, narcisismo o alessitimia del prossimo ma … quando è funzionale continuare a colpevolizzare l’altro? Questo stato di ruminazione non è certo costruttivo; il nostro giudizio negativo non potrà certo ristabilire le cose, nè punire il presunto colpevole e farci stare meglio. Per cui, cerchiamo di vedere con lenti diverse: è davvero ragionevole stare tanto male per il comportamento altrui? È sensato continuare a farci del male per chi non lo merita?

Non abbiate paura delle vostre emozioni, non vergognatevi di esse, non abbiate l’esigenza di controllare o soffocarle o l’urgenza di scacciarle. Le emozioni, positive o negative, fanno parte del nostro vissuto, lasciate scorrerle, ascoltatele come un suono di sottofondo mentre continuate nelle vostre attività. La vita è davvero troppo bella ma anche troppo breve per sprecarne anche solo un minuto.

Le cose più belle del mondo non possono essere viste e nemmeno toccate. Bisogna sentirle con il cuore – H. Keller.

                                                                                                                                                                                           Claudia Morleo

BIBLIOGRAFIA

Robert L. Leahy – “Emotinal Schema Therapy – Credenze sulle emozioni e strategie di regolazione emozionale in terapia metacognitiva”; 2015.

6 Comandamenti per chi Assiste un Parente con Demenza

sintomi-alzheimerAssistere un malato di Alzheimer è estremamente difficoltoso, ma a volte basta poco per rendere meno pesante questo oneroso compito. Oggi voglio fornirti sei semplici regole da seguire, una sorta di promemoria, delle linee guida che ti possono accompagnare in questo difficile percorso.

Ecco i 6 comandamenti per chi assiste un parente con demenza:


1 – NIENTE NOVITA’

Il paziente viaggia su un suo binario che deve sempre restare tale. Dunque mai sottoporlo a novità: anche semplicemente cambiare il colore del copridivano per lui può essere fonte di stress. Evitare di portarlo a casa di parenti se questo sappiamo gli procura disagio perché quella è una casa che lui non conosce e dalla quale vorrà fuggire il prima possibile.

2 – EVITA I RIMPROVERI

Se sei genitore pensa al motivo per il quale rimproveri tuo figlio quando fa qualcosa di sbagliato: affinché appunto impari che quella cosa non si fa! Il rimprovero dunque è funzionale all’ apprendimento, ma per un cervello malato, che ha perso questa capacità, che utilità ha? Nessuna! Per il vostro caro, il rimprovero risulterà inutile, l’unico effetto che sortirà è creare tanta frustrazione! 

3 – NON RAGIONARE CON LA TUA TESTA!

Il paziente vive in una dimensione spazio-temporale che spesso non corrisponde alla realtà, tuttavia non dobbiamo sperare che si renda conto dell’errore nel suo pensiero: quello è il suo pensiero! E va bene cosi! Inutile incaponirci quando fa o dice qualcosa di non corretto, accettiamo benevolmente. Se oggi per il paziente è il 6 dicembre, accettiamolo! Senza cercare di imporgli nulla.

Allucinazioni? Ecco come Gestirle!

Alcuni tipi di demenza come la LBD Lewy Body Dementia ( Demenza con corpi di Lewy ), il Parkinson – Demenza o alcune forme di demenza, compresa l’ Alzheimer, nelle fasi più avanzate, hanno come caratteristica la presenza di allucinazioni. Queste spesso diventano di difficile gestione. Che fare? In questo articolo voglio darti innanzitutto delle delucidazioni su cosa sono le allucinazioni, sul perchè della loro presenza e sopratutto scriverti dei consigli pratici su come gestirle. Ovviamente in presenza di allucinazioni è sempre bene rivolgersi ad un neurologo, perchè spesso necessitano di un intervento farmacologico.

Un’allucinazione è qualcosa che uno crede di udire, vedere, sentire, ma che non esiste nella realtà ed è in genere di natura spiacevole. Delirio paranoide, d’altro canto, significa che la persona ha una convinzione di natura persecutoria che non è fondata (ad es. che il postino volutamente nasconda delle lettere importanti). Purtroppo, a causa della sua difficoltà di comunicazione, il malato di demenza tende a sentirsi sempre più isolato, ed ha poche possibilità di confrontarsi e riflettere con altre persone.

I malati di demenza soffrono spesso di alterate identificazioni deliranti. I tipi più frequenti di identificazioni alterate riguardano parenti o persone addette all’assistenza che vengono ritenuti degli impostori, oppure la convinzione che visitatori immaginari vivano nella propria casa. Spesso si manifesta anche l’incapacità di riconoscere la propria immagine allo specchio o scambiarla per quella di qualcun altro (lo shock nel vedere riflessa l’immagine di un vecchio è anche legato a problemi di memoria) e l’errata visualizzazione delle figure televisive che vengono percepite come cose reali.

Inoltre, come conseguenza del danno cerebrale, alcuni malati di demenza possono anche confondere o interpretare erroneamente ciò che vedono, sentono o gustano. Per esempio, possono lamentarsi perché un dolce è salato, perché una musica leggera è troppo forte o perché fuori fa un freddo glaciale quando in realtà c’è un sole che spacca le pietre. 
Allucinazioni e deliri possono provocare paure intense o scatenare comportamenti aggressivi. Il malato di demenza deve far fronte a una situazione che non capisce e che non riesce a controllare.
All’inizio la nostra impotenza ci da un senso di smarrimento e di frustrazione. Non dimentichiamo però che possiamo sempre aiutare la persona malata offrendole sicurezza e prendendo le necessarie precauzioni per ridurre le probabilità che il problema si ripeta… Ecco per te Qualche Aiuto: