Gestire un paziente con malattia di Alzheimer è un compito arduo ed estenuante dal punto di vista fisico ed emotivo, ma il problema principale è causato sopratutto dalla disinformazione.
Spesso leggo negli occhi dei figli, mariti, mogli la disperazione e il senso di impotenza: il vero problema non è la malattia, ma il non sapere come affrontarla.
Scopo di questo mio articolo e fornire un aiuto concreto. Ho cercato di mettere insieme le domande che più frequentemente mi vengono poste e di dare una risposta…
DIMENTICA, E’ CONFUSO, SMEMORATO… VUOLE ANDARE DA SUA MADRE
Questa malattia erode i ricordi in senso retrogrado, prima quelli a breve termine e progressivamente i ricordi di anni, fino a lasciare ben poco materiale. Il paziente si ritrova in un tempo mentale che non corrisponde a quello del calendario. Inutile svenarvi se non ricorda la data, o cosa ha mangiato a pranzo: a meno che non sia il 15 gennaio e lui sostenendo che ci troviamo in piena estate pretende di uscire a maniche corte, lasciamolo nelle sue convinzioni! Vi ripete sempre la stessa domanda? Un po’ di pazienza e rispondete ogni volta. Vuole andare dalla mamma morta ormai anni fa? Distraiamolo! Evitiamo di dirgli che il genitore in questione è morto perchè lui non lo ricorda e potremmo sconvolgerlo. Magari portiamolo in giro in macchina per poi tornare a casa e sostenere di essere arrivati alla meta da lui richiesta, questo sicuramente lo aiuterà.
NON MI RICONOSCE! SONO SUA FIGLIA, MA CREDE CHE IO SIA SUA SORELLA
Questo è dovuto a quella che in Neuropsicologia è definiamo Prosopoagnosia, ovvero la difficoltà a riconoscere i volti. Il paziente riconosce il volto come familiare, ma non lo colloca correttamente. Dunque il tempo mentale di 20 anni fa, più la difficoltà a riconoscere il nome a cui appartiene il volto, fa si che il familiare riconosca la figlia come mamma. Su questo in genere non c’è niente da fare, si può solo assecondare quanto dice, rassegnandosi al fatto che nel paziente si è creato un altro mondo al quale tu non hai accesso. L’unico contatto possibile è essere la persona che crede tu sia, per cui se ti chiama con il nome di tua madre o di sua sorella, allora devi diventare quella persona. Inutile intestardirsi in qualsiasi spiegazione razionale, finiresti per sprecare le tue energie e non farebbe alcuna differenza…
NON VUOLE LAVARSI… OGNI VOLTA E’ UNA LOTTA!
In primis bisogna capire perché lo fa, non ha deliberatamente cambiato le sue abitudini igieniche, ma è dovuto a:
1) Perdita della capacità di critica e di giudizio, non capisce che è opportuno lavarsi per motivi igienici e di presentabilità sociale.
2) Agnosia: ovvero la capacità di riconoscere gli oggetti che lo circondano. Non riconosce il doccino come tale e questo lo porta ad agitarsi e spaventarsi come accadrebbe ad ognuno di noi se ricevesse una secchiata d’acqua in un ambiente sconosciuto, da un oggetto sconosciuto! Il canale verbale serve a poco, questi pazienti, soprattutto nelle fasi avanzate hanno difficoltà nella corretta decodifica del materiale verbale. È dunque importante utilizzare il canale non verbale: la nostra espressione dolce e rassicurante, spronarlo con parole come “bravo, andiamo”, ecc… Utilizzare il canale non verbale significa anche utilizzare l’imitazione. Ci sono mogli che per incitare i mariti a lavarsi si sono spogliate e sono entrate per prima loro nella doccia mostrando dunque come fare! Perchè non provarci? Vedrete che funziona!
PERCHE’ HA LA TENDENZA A FUGGIRE?
La tendenza a fuggire emerge dalla condizione di angoscia che il paziente vive costantemente. Questa condizione di angoscia ha due conseguenze:
1) Il paziente cerca le condizioni rassicuranti che gli facciano sentire meno il peso delle sue difficoltà: si circonda di persone note, resta nella casa che gli è familiare… Ecco perché quando lo portate a pranzo a casa della “Cugina Ernesta”, dopo un po’ vorrà andare via. Quella casa non la riconosce, se deve andare in bagno non sa come muoversi, è completamente spiazzato e disorientato e questo gli provoca una condizione di angoscia.
2) Provoca ansia ed agitazione, componenti che, quando prevalgono sulla necessità di sentirsi rassicurati, portano il paziente a voler fuggire! Dove? Non si sa, non hanno un obiettivo preciso! Escono per un’istanza interna senza volto e si trovano soli per strada senza trovare la via del ritorno. L’unica soluzione in questo caso è un trattamento farmacologico che riduca l’ansia e dunque la tendenza a scappare.
MA PERCHE’ LA SERA E’ PIU’ AGITATO?
Molti mi riferiscono che all’imbrunire il loro caro è molto più agitato; lo avete notato anche voi? Questa agitazione è dovuta alla cosidetta “Sindrome del sole calante” e ha due cause principali:
1) La stanchezza mentale. Noi persone cognitivamente integre dopo una giornata percepiamo la stanchezza, la stessa cosa accade ai pazienti, con la differenza che il loro è un cervello malato, dunque anche senza lavorare, il solo essere esposto ad afferenze sensoriali, richiede un dispendio di energia che alla fine si tramuta in stanchezza.
2) Ridotte afferenze sensoriali visive. Vedono con meno nitidezza e questo contribuisce alle difficoltà a percepire con chiarezza quello che li circonda e questo provoca lo stato di confusione. Una buona soluzione è aumentare l’illuminazione in casa di sera o cercare di mantenere un’illuminazione costante durante tutta la giornata.
Bisogna cambiare il nostro punto di vista e cercare di entrare nel loro mondo secondo le loro regole.
Piccoli accorgimenti miglioreranno la qualità di vita del paziente… MA ANCHE LA VOSTRA!
Claudia Morleo
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